Partiamo dal concetto che quello del genitore è il mestiere più difficile al mondo.
Ci sono fasi di sviluppo del bambino ben chiare alla Pedagogia, ma ci sono anche molte variabili all’interno dell’educazione: queste riguardano il tipo di famiglia, la modalità di come si danno le regole educative, chi dà le regole, se il bambino vive in città o in periferia, in un appartamento o in una casa singola, se ci sono nonni o meno, etc…
Le variabili sono infinite e ogni famiglia è a sé: alla fine, quindi, è al genitore che spetta il compito di decidere le regole “più giuste” da dare al proprio figlio. In questo la Pedagogia può solo dare un aiuto, facendo comprendere meglio le fasi di crescita del bambino.
Una di queste fasi è quella dei cosiddetti “terribili due anni”.
Dai 24 mesi fino almeno all’età di tre anni, il bambino vive nel mondo dell’egocentrismo, quindi “è tutto mio e il mondo gira attorno a me, se viene un bambino a casa mia i giochi sono i miei, se io vado a casa sua i giochi sono i miei”.
A noi non piace definire terribili i due anni, perché ogni momento della crescita di un bambino, da quando è lattante a quando avrà diciotto anni e oltre, sarà sempre “terribile, impegnativo”. Ma anche meraviglioso. La difficoltà sarà solo trovare la chiave giusta per gestire al meglio le diverse fasi di crescita del bambino.
I due anni, una fase importante nella crescita del bambino
A due anni, il bambino inizia una nuova fase di crescita. Ad esempio, inizia a riconoscersi allo specchio, impara a dire i primi “no”, comincia a parlare sempre meglio e quindi ad esprimere un suo pensiero con le parole, sempre più chiaro a noi adulti.
Prima parlava con il linguaggio non verbale, con i pianti, urli: ora si spiega a parole e si oppone se c’è qualcosa che non vuole fare oppure che non gli piace.
La verità è che lo faceva anche prima, solo che ora diventa più chiaro e l’adulto lo comprende meglio.
Il bambino inizia quindi a esporre il suo pensiero, ma “il linguaggio non è così
veloce come la mente”: per questo rischia spesso di non esprimersi come vorrebbe, innervosendosi e finendo per lanciare oggetti, arrabbiandosi perché il genitore non lo comprende. La stessa cosa potrebbe succedere quando disegna: se quello che ha in mente di fare non rispecchia ciò che la sua mano traduce in disegno, potrebbe arrabbiarsi e lanciare via tutto.
In generale, quindi, bisogna ricordare che a due anni la mente del bambino va più veloce del suo linguaggio e della sua motricità, causandogli irritazione e rabbia.
In questa fase, molti genitori non sono preparati a gestire il comportamento del bambino e si agitano, si arrabbiano oppure parlano molto al figlio, dando migliaia di spiegazioni, ottenendo però pochi o nessun risultato. Come comportarsi quindi in questo momento delicato della crescita del bambino?
Come gestire un bambino di due anni
Spesso, di fronte a questi improvvisi scatti d’ira del proprio bambino, i genitori tendono a dare delle spiegazioni lunghissime come se avessero a che fare con un adulto: non pensano che un bambino di due anni, alla loro quinta parola, non li segue più.
Una modalità più efficace potrebbe essere di fare un discorso breve, composto da frasi corte. Di tanto in tanto, si può chiedere al bambino se ha capito: se risponde con un sì, il genitore dovrebbe chiedere al figlio di ripetere cosa ha capito, così da comprendere se effettivamente il bambino ha afferrato il senso del discorso, dandogli in più l’opportunità di esprimersi.
È inoltre importante fare sempre esempi pratici e non astratti, altrimenti il bambino avrà delle difficoltà a comprendere il concetto.
Inoltre, dobbiamo ricordare che i bambini percepiscono il nostro umore e se noi ci arrabbiamo, anche loro si caricano della nostra energia, creando un circolo vizioso.
Quindi, se i genitori si sentono troppo arrabbiati, è meglio cambiare stanza, provare a calmarsi, magari anche annunciandolo al bambino, facendo capire che i momenti di rabbia possono essere risolti prendendosi un momento per ragionare. Questo lo aiuterà a sua volta ad avere il permesso di arrabbiarsi e il tempo per calmarsi; infatti, l’emulazione del comportamento del genitore aiuterà il bambino a gestire meglio la sua ira. E imparare così a crescere e ad affrontare la grande avventura della vita.
– Articolo a cura della Dottoressa Camilla Barducci –